Giovedì 16 alle ore 17:00 presso la Basilica di San Saturnino, Piazza San Cosimo, Cagliari, si terrà il diciassettesimo appuntamento dei “Dialoghi di archeologia, architettura, arte e paesaggio” organizzati dal #MuseoArcheologicoCagliari.
Questa settimana Maria Antonietta Mongiu e Francesco Muscolino terranno un incontro dal titolo “Per un corpus dei marmi romani del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari: i marmi figurati rinvenuti in viale Trieste/Pastificio Costa”
L’evento sarà trasmesso anche in diretta streaming sul canale Youtube e sulla pagina Facebook del Museo.
Ha ragione Paolo Cherchi nel dire che ci sono ricorrenze che tracciano differenze nelle date e le connotano. Si potrebbe aggiungere che alcune attraversano le epoche per diventare metafore con implicazioni icastiche.
Talvolta con latenze oscure e minacciose. Non a caso, a Roma, i giorni si declinavano in fausti e infausti. Questi ultimi abitavano traiettorie negative se coincidevano con ricorrenze nefaste per la res pubblica. Su tutte primeggiano le Idi di marzo. Quel giorno fu ucciso Giulio Cesare. Andò in Senato, il 15 marzo del 44, e fu pugnalato a morte dai suoi.
Quante altre volte sia accaduto il tradimento degli intimi, lo raccontano biografie pubbliche e private. Ma quella volta fu tutt’altra storia, perché ha inerito fino ai nostri giorni. Niente fu come prima. Di lì a poco, prese il potere Ottaviano/Augusto, che avrebbe cambiato forme e pratiche e l’essenza stessa della res publica. Ma quanto le Idi di marzo del 44 a.C. abbiano inciso nell’immaginario collettivo, lo dice l’orazione di Antonio, inventata da Shakespeare nel suo Giulio Cesare. Fotografa luci e ombre del potere e le contraddizioni del cerchio magico di ogni autocrate.
Come dimenticare l’esordio? “Amici, romani, concittadini, prestatemi orecchio. Io vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo”. Da allora ogni illustre morte violenta sarebbe stata accompagnata dalla retorica che, negando, afferma. Lunga la lista di congiure e di conseguenti elogia che interpellano questo copione. Le Idi di marzo, nel calendario di Roma, erano il 15 del mese.
Il conteggio dei giorni avveniva con periodizzazioni. Si chiamavano Calende il primo del mese e None il 5 e il 7, a seconda del numero dei giorni del mese; così pure le Idi potevano essere il 13, per lo stesso criterio. Nessuna come quelle del marzo del 44 a.C. abitava le nostre vite, fino al 16 marzo del 1978, giorno del rapimento di Aldo Moro. Non risolto del tutto e ormai rimosso, perché la memoria “come altre assuefazioni materiali” è indipendente da ogni volontà, come dice G. Leopardi.
A 45 anni, la memoria involontaria ma soprattutto la consapevolezza pubblica raccontano che, nelle Idi di marzo del 1978, oltre alla tragedia della Repubblica, iniziò, il 14 marzo 1978, l’epifania, in viale Trieste, nello spazio prospiciente l’ex Pastificio Costa, della statua di un Dionysos. La prima di decine di marmi figurati che si spera di ricomporre presto in un Corpus unitario.
Oggi, solitaria, è esposta nel Museo archeologico nazionale di Cagliari. Vide l’apocalisse ma anche la rinascita. Venne risemantizzata in un Cristo, buon pastore, adolescente che convisse con Vandali, Bizantini, e, persino, con gli Arabi. Non resistette alla faida tra iconoclastia ed iconodulia, che insanguinò Karali nel IX sec. Ma riuscì con altri brani di marmi figurati ad occultarsi, salvandosi dalla calcara, fornace per ottenere calce, che si fece spazio nella vasca termale di ciò che fu, in origine, un frigidarium.
Era l’alba dell’anno mille e coinvolse molti marmi per ottenere la calce che consentì ai maistus de perda, de calcina, de ludu, de linna, documentati nel Giudicato di Cagliari, di garantire la ricostruzione e la sopravvivenza di Cagliari. Dionysos, copia romana dalle raffinate fattezze greche, sopravvissuto con gli altri marmi, ricomparve un 14 marzo, in una delle peggiori Idi di marzo della storia repubblicana. Forse per consolarci ma, certamente, per fondare l’archeologia pubblica. Allora e oggi.